In memoria di Pietro Mirabelli

Questa non è la mia storia. E anche la mia storia, ma è la storia di tutti quelli che fanno la vita che faccio io...

Mugello Gli amici del minatore morto: campagna a favore di una legge sulla tutela dei lavori usuranti, come lui voleva

Mugello Gli amici del minatore morto: campagna a favore di una legge sulla tutela dei lavori usuranti, come lui voleva

Appello al Quirinale, per Pietro
Corriere Fiorentino - 23 dicembre 2010

Lettera a Napolitano sull’«angelo custode» degli operai: «Ci aiuti a non farlo dimenticare»

BARBERINO DI MUGELLO — Una lettera al presidente Giorgio Napolitano, perché Pietro non sia dimenticato. E’ l’iniziativa di un gruppo di mugellani e fiorentini per ricordare il minatore Pietro Mirabelli, l’angelo custode degli operai dell’Alta Velocità, l’uomo che per anni si era battuto per i diritti di chi rischiava ogni giorno la propria vita lavorando in galleria.
Il 22 settembre, Pietro è morto mentre stava scrivendo l’ennesimo primato: era in Svizzera, dove stava scavando quella che di lì a poco sarebbe diventata la più lunga galleria del mondo, 57 chilometri sotto il San Gottardo. Un attimo prima che un masso lo colpisse, Pietro aveva detto ai giovani operai che erano con lui: «Rimanete indietro, vado io perché lì è pericoloso» . Quel presagio non era frutto del caso: Pietro, 54 anni, di cui più di trenta passati sotto terra, era un minatore esperto. Calabrese di origine, era diventato mugellano di adozione quando, nel ‘ 96, aveva iniziato a lavorare a Vaglia, ai cantieri del Cavet, dove era rimasto per dodici anni. Qui si era a lungo battuto contro condizioni di lavoro che riteneva inaccettabili, scontrandosi con l’azienda e spesso anche con i sindacati. Era diventato un simbolo, tanto che era stato invitato a parlare all’Università e in Consigli comunali, su di lui erano stati fatti documentari, saggi. Persino un romanzo, «Figlia di una vestaglia blu» della barberinese Simona Baldanzi, lo aveva annoverato tra i protagonisti.
Ed è stata proprio la scrittrice, assieme a Stefano Pighini, un ex ricercatore di filosofia politica, e a un instancabile gruppo di lavoro, a lanciare l’idea di una lettera al presidente della Repubblica, perché la morte di Pietro non sia capitata invano. «Pietro rappresenta l’uomo di un Sud che non vuole perdere la speranza— dice la lettera — ma anche di un’Italia che vuole ritrovare negli esempi di uomini semplici e giusti dei modelli a cui guardare senza paura, capaci di unire i cittadini nel nome della dignità del lavoro» . I promotori della lettera, che hanno trovato subito il sostegno di centinaia di persone, non chiedono medaglie o riconoscimenti, vogliono solo che Napolitano, in nome di Pietro, esaudisca un bisogno: «Quello di testimoniare, con forza, la ferma intenzione di porre fine a questa guerra silenziosa che uccide migliaia di lavoratori ogni anno e non sembra lasciare tracce, tranne che nel dolore profondo delle famiglie» .
Ma il loro sogno più ambizioso è che il Presidente si unisca un giorno alla campagna per l’approvazione di una legge per la tutela dei lavori usuranti, per cui Pietro si era battuto a lungo: la «Legge Mirabelli» .
Giulio Gori

Sei qui: Home Gli amici di Pietro